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In questo articolo affronto un fraintendimento piuttosto comune, che riguarda cosa significhi ascoltare il cliente. Perché il cliente decida di comprare, bisogna davvero dargli quello che vuole? Spesso è necessario andare più a fondo e adottare strumenti per comprendere i bisogni inespressi.

“Se avessi chiesto alla gente cosa volesse, mi avrebbe risposto: cavalli più veloci.”

Questa citazione, tanto famosa quanto probabilmente falsa, è attribuita a Henry Ford.

Restando in ambito automobilistico, alle richieste di costruire automobili con il motore posteriore, Enzo Ferrari era solito rispondere che “i buoi tirano il carro, mica lo spingono”.

Infine – perché il guru di Apple non può mancare, giusto? – vale la pena riportare una citazione comparsa in “Steve Jobs”, la biografia scritta da Walter Isaacson:

“La gente non sa quello che vuole finché non glielo mostri. Per questo non mi affido mai alle ricerche di mercato. Il nostro compito è saper leggere le cose prima che vengano scritte”

Insomma, pare proprio che i grandi, i più grandi capitani d’impresa, protagonisti di un successo duraturo universalmente riconosciuto, non ascoltassero per niente i desideri dei propri clienti o, peggio ancora, degli stakeholder. Eppure, la centralità del cliente è ormai un valore indiscusso, un pilastro imprescindibile sul quale costruire il futuro di un’impresa o di un’organizzazione, grande e strutturata o piccola e padronale che sia.

Come superare questo apparente controsenso? Bisogna davvero ascoltare il cliente?

Naturalmente la risposta è sì. Non è infatti una questione di “se”, quanto piuttosto di “cosa” ascoltare e di “come” ascoltare. Le citazioni all’inizio di questo articolo offrono un prezioso indizio a questo proposito. I nostri business heroes affermano infatti di non voler sapere quello che la gente vuole. Anzi, chiedere alla gente cosa vuole risulta, per tutti, addirittura controproducente!

A cosa dobbiamo prestare ascolto, dunque?

Steve Jobs parla di “saper leggere le cose prima che vengano scritte”. Di fatto, potremmo tradurlo, senza troppo temere di allontanarci dal suo pensiero, più o meno così: “saper prevedere i bisogni prima che vengano espressi”.

Qualsiasi organizzazione, iniziativa, impresa, che fornisca beni o servizi ad un mercato, avrà successo se sarà in grado di intercettare un bisogno di qualcuno e creare con esso un oggetto da desiderare.

A questo punto sarebbe fin troppo facile gridare alla scoperta dell’acqua calda. E allora perché nelle piccole e medie imprese è così difficile trovare chi è in grado di cogliere davvero i bisogni esistenti – e magari inespressi – delle persone?

Certo, spesso è questione di mancanza di strumenti o di eccessiva confidenza nelle proprie capacità: cioè affidarsi al fatto che la propria idea sia buona di per sé, non riuscire ad abbattere convinzioni radicate che ormai sono diventate solo degli ostacoli, ritenersi incompresi dal mercato, rifiutarsi di accettare che i tempi sono cambiati, attribuire responsabilità proprie ad altri soggetti (lo Stato, i clienti, l’economia, i mercati).

Lo confermiamo: spesso è una questione di attitudine, e di approccio; ma perché, allora, anche quando l’entusiasmo e la passione ci sono e sono palpabili, quando si è ancora abbastanza giovani, quando la mente è aperta al mondo, resta così difficile identificare i bisogni delle persone?

Probabilmente, appunto, è una questione di voler imparare il “come”.

Come si fa ad individuare i bisogni del cliente?

Come si fa a comprendere un bisogno – ovvero una necessità, un’aspirazione, una carenza da colmare – prima che esso venga espresso?

Il motivo per il quale una missione del genere potrebbe apparire pressoché impossibile è lo stesso per il quale non ha senso chiedere a qualcuno cosa vuole: noi tutti troviamo generalmente molto difficile oggettivizzare un bisogno, cioè trasformarlo nel desiderio di un oggetto reale o possibile. Quello che nella maggior parte dei casi avviene è che crediamo di avere bisogno di qualcosa, ma in realtà abbiamo bisogno d’altro.

Risulta sufficientemente evidente, a questo punto, che i parametri quantitativi possono risultare utili ma decisamente non sufficienti, e talvolta nemmeno necessari.

Nella tradizione delle tecniche di vendita, il metodo più utilizzato, al punto da essere diventato quasi un mantra, è l’ascoltoAscoltare il cliente per raccogliere informazioni è il primo passo per conoscere le sue esigenze. I venditori più accorti sanno inoltre che le reali esigenze del cliente emergono da domande non necessariamente correlate al prodotto o al servizio da acquistare. Come vive il nostro cliente? Quali sono le sue abitudini? Quali sono le sue difficoltà? Che lavoro fa? Di quanto denaro ritiene di poter disporre per acquisti di questo genere? Quante persone fanno parte della sua famiglia? Quanti lavorano? Potremmo andare avanti all’infinito.

L’esperienza della vendita è interessante, perché è mirata a raggiungere un traguardo tutto sommato vicino: il momento in cui il cliente decide che i soldi nel suo portafoglio valgono il servizio o prodotto che ne riceverebbe in cambio. Proviamo però a risalire il fiume fino a giungere al momento in cui bisogna definire una strategia, capire se l’azienda sta andando nella direzione giusta, individuare come cambiare, appurato che sia necessario. Una buona pratica potrebbe essere quella di farsi supportare da un consulente di marketing strategico che attraverso l’analisi dei dati aziendali, l’ascolto dei clienti, l’interpretazione dell’esperienza fondamentale dell’imprenditore, con gli strumenti che la sua formazione gli consegna, saprà fornire un valido supporto per comprendere correttamente i bisogni dei propri clienti e tramutarli in prodotti/servizi.

Il primo passo

Veniamo, dunque, al “come”. L’essere umano è un universo unico di emozioni; la sfera razionale, nel suo coesistere con la sfera emotiva, non è mai determinante nel momento in cui si tratta di prendere una decisione. Questo è un aspetto che non deve essere trascurato da chi si pone seriamente l’obiettivo di comprendere i bisogni delle persone; ne consegue quindi che è necessario dare priorità alle valutazioni di tipo qualitativo.

Quali sono dunque le fonti qualitative alle quali possiamo rivolgerci?

Senza dubbio fondamentale, è l’esperienzaè dall’esperienza dell’imprenditore nei rapporti con le persone che ruotano attorno alla sua azienda che possiamo partire per raccogliere le informazioni di maggior valore.

Le informazioni a disposizione dell’imprenditore – ed eventualmente fornite dal consulente – devono dunque consentire di individuare gli elementi qualitativi più rilevanti nella relazione azienda-persone, come per esempio:

  • l’affinità: ciò che rende simili tra loro i molteplici soggetti che si relazionano con l’azienda (per esempio, cosa accomuna le diverse tipologie di cliente);
  • l’empatia: ciò che connette le persone dentro l’azienda con le persone fuori dall’azienda;
  • i motivi di gioia e le difficoltà: ciò che rende felici le persone nella vita, e ciò che le fa soffrire o richiede sforzo o sacrificio per essere raggiunto;
  • le opinioni, le idee: in altre parole, la lettura della realtà con gli occhi delle persone;
  • comportamenti: le manifestazioni esteriori del pensiero e delle qualità personali

Attraverso un’analisi approfondita delle informazioni ricavate, calate nella realtà di soggetti concreti con i quali si ha a che fare, emergeranno via via i reali bisogni di chi sta attorno all’impresa. Un metodo focalizzato davvero sulle persone, prese in considerazione per il loro valore di individui, con la cura di saper leggere la complessità del nostro essere umani.

In conclusione, Jobs e gli altri non è vero si disinteressassero dei bisogni dei clienti; anzi, Henry Ford alla fine ha trovato un modo diverso di dare alla gente più cavalli. Soddisfare un bisogno non significa fornire quello che già esiste; ascoltare il cliente invece, e ascoltarlo davvero, è forse l’unico modo per intercettare l’innovazione.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul blog di Fourmarketing.